“Basta plastica” è il messaggio in bottiglia che ci arriva dal mare e dagli esseri viventi che lo abitano. Il messaggio che riceviamo ogni volta che sulla spiaggia troviamo una bottiglia, un sacchetto o un altro oggetto di plastica riportato a riva dalle onde, che lo restituiscono al mittente: noi.
Secondo il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS) ogni anno finiscono negli oceani dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica. Qualche oggetto torna sulla costa trasportato dalle onde, ma la maggior parte dei rifiuti viene trascinata al largo dalle correnti, e rimane in mare a contaminare l’ambiente.
Col passare del tempo, si stima dai tre ai dieci anni, l’azione meccanica delle onde e delle correnti, l’azione dei raggi ultravioletti del sole e degli eventi atmosferici, agiscono sulla plastica e la frantumano fino a ridurla di piccolissime dimensioni. Queste minuscole particelle di plastica prendono il nome di microplastiche.
Cosa sono le microplastiche?
Attualmente non c’è una definizione unanime da parte della comunità scientifica internazionale del termine “microplastiche”: uno dei motivi è il limitato numero di studi scientifici condotti su questo argomento. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) considera microplastiche le particelle di plastica comprese tra i 5 mm e gli 0,1 µm (micrometri), mentre al di sotto di questa misura parla invece di “nanoplastiche”.
Le dimensioni molto ridotte che possono raggiungere questi rifiuti contribuiscono alla contaminazione della fauna marina e della catena alimentare. Le microplastiche infatti contaminano il plancton, alimento alla base dell’alimentazione di molte specie ittiche; vengono inoltre accidentalmente ingerite da pesci, crostacei e molluschi. Nelle specie ittiche la maggior parte delle microplastiche ingerite transita nell’apparato digerente, ma si stima che una piccola parte possa essere assorbita dal sistema linfatico e distribuita poi ai vari organi e tessuti.
La contaminazione da microplastiche però non si ferma solo all’ambiente e alle specie ittiche: alcuni studi infatti hanno rilevato tracce di microplastiche anche in carne suina e avicola di animali precedentemente allevati con mangimi di origine ittica. Altre ricerche hanno rilevato tracce della contaminazione anche nell’acqua potabile, nel latte, nella birra e nel sale marino.
Quali possono essere gli effetti nocivi per l’uomo?
Le microplastiche sono un argomento ancora oggetto di studio, per questo ci sono dubbi in merito all’esposizione umana attraverso gli alimenti, ai possibili effetti nocivi e all’impatto sulla nostra salute.
Nel 2016 l’EFSA affermava che fosse poco probabile un impatto negativo sulla salute umana. Su alcune colture cellulari tuttavia è stato poi verificato come le microplastiche possano avere un effetto ossidativo. Altre ricerche hanno osservato come le microplastiche possano competere nel tratto intestinale nell’assorbimento di alcuni micronutrienti essenziali. Un ulteriore effetto negativo è la possibilità delle microplastiche di veicolare dei microrganismi patogeni o altri inquinanti all’interno dell’organismo. Infine, alcuni studi compiuti sulle nanoplastiche hanno destato la preoccupazione degli esperti perché è stato rilevato che queste ultime hanno la capacità di provocare danni al sistema nervoso e alterare il comportamento dei pesci esposti.
Tuttavia è necessario essere cauti: non si deve dimenticare che ogni frammento di microplastica o nanoplastica presenta una composizione chimica differente da un altro, fattore che rende difficile stabilire in modo certo possibili conseguenze per la salute, e allo stesso tempo rende difficoltoso anche individuare obiettivi precisi per le ricerche future.
Come ridurre i rischi da microplastiche a tavola (e non solo)
Anche se i rischi per la salute derivanti dalla presenza di microplastiche negli alimenti sono ancora poco conosciuti, possiamo comunque adottare due semplici accorgimenti per ridurre il più possibile la nostra esposizione a queste sostanze e ai loro possibili effetti nocivi:
- se vogliamo mangiare pesce, meglio preferire il filetto, evitando il consumo eccessivo di ricette che prevedono di non scartare le interiora (es. pesce fritto), dato che le microplastiche tendono a concentrarsi nell’intestino e negli organi interni;
- integriamo nella nostra dieta una buona quantità di alimenti ricchi di antiossidanti (vedi guida dell’Istituto Superiore di Sanità) e di fibre, in modo da aumentare la velocità di transito nell’intestino e contrastare l’azione pro-ossidante delle microplastiche.
Infine ognuno di noi può fare la differenza per ridurre a monte l’inquinamento ambientale: limitiamo allo stretto necessario l’utilizzo di oggetti di plastica o imballaggi usa e getta, preferendo invece plastiche biodegradabili e materiali riutilizzabili (metallo, vetro). In questo modo salvaguardiamo non solo l’ambiente, ma anche la sicurezza degli alimenti che mettiamo nelle nostre tavole.
Riferimenti
- Carlo Nebbia (2020). Microplastiche e possibili effetti sull’uomo. Ecoscienza 1/2020
- EFSA – Autorità europea per la sicurezza alimentare (2016). Microplastiche e nanoplastiche negli alimenti: una questione emergente
- EFSA – Autorità europea per la sicurezza alimentare (2016). Presence of microplastics and nanoplastics in food, withparticular focus on seafood
- ISS – Istituto Superiore di Sanità (2019). Antiossidanti
- OMS – Organizzazione Monidale della Sanità (2019). Microplastics in drinking-water
- Parlamento Europeo (2018). Plastica negli oceani: i fatti, le conseguenze e le nuove norme europee. Infografica
- Parlamento Europeo (2018). Microplastiche: origini, effetti e soluzioni
- RAI – GEO (2021). Un mare di microplastica
- RAI – GEO (2021). Microplastiche: quali gli effetti sulla nostra salute?
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